THIS IS ANFIELD!

Per ben due anni consecutivi i partenopei hanno trovato davanti il loro corso Europeo i Reds.
Tra le mura del San Paolo non c’è stata storia: l’1-0 firmato Lorenzo Insigne della scorsa stagione ed il 2-0 della stagione corrente in cui figurano i nomi di Dries Mertens e Fernando Llorente, lasciano spazio a poche interpretazioni; ma ad Anfield, le cose sono (quasi) sempre andate nel verso opposto.
Per capire i veri motivi, è necessario fare un passo indietro.

È necessario sapere che il periodo di maggior gloria nella storia del Liverpool è generalmente identificato con le affermazioni in campo continentale con le Coppe dei Campioni vinte tra il 1977 ed il 1981.
In panchina, per i “Reds” sedeva Bob Paisley, il quale, per tutti i tifosi, aveva raccolto l’eredità del più grande di tutti i tempi: Bill Shankly.

In panchina dal 1959 al 1974, Shankly, raccolse il Liverpool caduto in disgrazia riportandolo in auge con la conquista di 3 campionati, 2 FA Cup e la Coppa UEFA del 1973.
Fu negli anni di Shankly che il Liverpool cementò il suo legame con Anfield e con i propri tifosi: sospinto dalla gremitissima tribuna Kop, il club sembrava imbattibile tra le mura amiche. Fu sempre il manager scozzese a far affigere una targa, proprio alla fine del tunnel che portava le squadre in campo, riportante la scritta “This is Anfield”: questo avrebbe svolto la doppia funzione di caricare la squadra e intimidire gli ospiti, che sarebbero stati così consapevoli di trovarsi nel tempio dei Reds.

Per i più disattenti, per chi non avesse ancora capito in che Stadio si trova, la Kop caccia dal cilindro (coinvolgendo l’intero Anfield e talvolta anche i tifosi ospiti) uno degli inni più belli al mondo: “You’ll Never Walk Alone”.

Giocare ad Anfield è sicuramente un qualcosa di diverso dal solito e quel tempio del calcio, il Napoli non l’ha mai espugnato.

Arkadiusz Milik nella scorsa stagione, pose una pietra tombale sulla qualificazione agli ottavi dei partenopei quando al novantesimo, sugli sviluppi di un calcio piazzato si è lasciato ipnotizzare da Alisson Becker, condannando i partenopei alla sconfitta per 1-0.

L’impresa sembrava stesse riuscendo quest’anno quando dopo il sigillo dello 0-1 di Dries Mertens, il Napoli sembrava in piena corsa per la vittoria: ma quando si gioca ad Anfield, i Reds acquistano nuova linfa.
Dejan Lovren, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, inchioda sull’1-1 un match che sembrava alla portata dei partenopei (data la difesa arcigna).
L’1-1 di Anfield, quest’anno, non è stato vano.

La storia di Anfield è indispensabile per capire gli errori tecnici degli avversari in questo Stadio: un qualcosa che incute timore, paura e sentimenti contrastanti nell’animo degli ospiti che si susseguono per novanta minuti.

Non ci è dato sapere perché in 90 minuti, ad Anfield, nessuno riesce a dare il meglio di sé, ma un dato ci aiuta: l’ultima squadra ad uscire vittoriosa da Anfield Road è il Crystal Palace, nell’anno 2017.
C’è qualcosa di magico in Anfield, è innegabile, ed il Napoli quell’incantesimo l’ha quasi spezzato.

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